Il fratello di Al Kikli rapito: l'attivista libico denuncia dalla Italia

Husam El Gomati, nel mirino del spyware Graphite: ritorsione per le denunce sulla Libia?
Husam El Gomati, analista libico di fama internazionale e da tempo voce critica contro la corruzione e i malaffari nel suo paese, è finito nel mirino del potente spyware Graphite, sviluppato dalla società israeliana Paragon. La notizia, emersa di recente, ha scosso la comunità internazionale, sollevando serie preoccupazioni sulla sicurezza degli attivisti e dei difensori dei diritti umani.
El Gomati, che ha spesso denunciato con forza le violazioni dei diritti umani e i flussi illeciti di denaro in Libia, ha dichiarato: “Posso solo pensare che questo sia un atto di ritorsione”. La sua posizione, pericolosa ma fondamentale per dare voce alle sofferenze del popolo libico, lo ha reso un bersaglio privilegiato per chi ha interesse a mantenere lo status quo. La rivelazione del suo spionaggio attraverso Graphite accende un faro sulla vulnerabilità degli attivisti che lavorano in contesti ad alto rischio, e pone l'accento sul preoccupante utilizzo di tecnologie invasive a fini politici.
La vicenda si intreccia con quella di Mohamed Al Kikli, un attivista libico che vive in Italia. Al Kikli, che ha svolto un ruolo fondamentale nello smascherare l'utilizzo di Graphite in Libia, ha dichiarato di aver subito un grave attacco personale: “Hanno rapito mio fratello”. La coincidenza temporale tra lo spionaggio di El Gomati e il rapimento del fratello di Al Kikli rafforza il sospetto di una possibile ritorsione coordinata, un'escalation di violenza contro chi osa sfidare il potere.
L'utilizzo di spyware sofisticati come Graphite rappresenta una grave minaccia alla libertà di espressione e alla sicurezza dei giornalisti e degli attivisti. La vicenda di El Gomati e Al Kikli evidenzia l'urgente necessità di una maggiore trasparenza e regolamentazione nel settore della sorveglianza digitale, al fine di proteggere i difensori dei diritti umani e garantire la libertà di informazione. La comunità internazionale deve condannare fermamente questi attacchi e chiedere conto a chi si macchia di simili azioni.
È necessario un intervento deciso per contrastare l'uso illecito di queste tecnologie e garantire che chi lotta per la giustizia e la verità non venga messo a tacere con mezzi così violenti e subdoli.
Le indagini sono in corso, e si attende di capire chi sia realmente responsabile di questi attacchi e quali siano le implicazioni a livello internazionale. La comunità internazionale è chiamata a vigilare e a pretendere chiarezza e giustizia per El Gomati, Al Kikli e tutti coloro che si trovano a subire le conseguenze della repressione digitale.
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