Ecco una riformulazione del titolo: **Oltre la dicotomia di genere.**

La Corte Suprema e la Definizione di Genere: Un'Equazione Biologica Troppo Semplice?
La recente decisione della Corte Suprema di Londra di adottare il dato biologico come criterio *unico* per la definizione del genere ha sollevato un vespaio di polemiche. L'alta corte, nel tentativo di dirimere una questione complessa e delicata, sembra aver optato per una soluzione apparentemente netta, ma che rischia di ignorare la **profonda complessità** dell'esperienza umana, in particolare per quanto riguarda l'ambivalenza sessuale.BRBRLa sentenza, che fa riferimento a un caso specifico dibattuto quest'anno, ha riacceso il dibattito sull'adeguatezza dei sistemi legali a comprendere e tutelare le persone intersex, non binarie e transgender. Molti si chiedono se una definizione puramente biologica possa davvero rendere giustizia alla realtà di chi vive un'identità di genere che non si conforma alle tradizionali categorie di maschile e femminile.BRBRIl filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, interpellato sulla questione, ha espresso forti riserve. "Ridurre l'identità di genere a un mero dato biologico è un errore gravissimo", ha affermato Galimberti. "Stiamo parlando di persone, di esperienze soggettive, di vissuti profondi. Il diritto deve tutelare i diritti di tutti, ma non può farlo semplificando eccessivamente la realtà".BRBRGalimberti sottolinea come la questione di genere sia intrinsecamente legata all'identità personale e alla costruzione del sé, processi complessi che non possono essere ridotti a formule biologiche. "L'ambivalenza sessuale è una realtà che esiste e che va riconosciuta", prosegue Galimberti. "Ignorarla, o peggio, negarla, significa negare l'esistenza stessa di persone che hanno diritto al rispetto e alla dignità".BRBRLa decisione della Corte Suprema, pur mirando a fornire una risposta chiara e univoca, solleva quindi interrogativi profondi sull'effettiva capacità del diritto di affrontare la complessità della condizione umana. Una questione nata per garantire diritti rischia di trasformarsi in una gabbia, imprigionando la diversità in categorie rigide e inadeguate. Il dibattito è aperto e promette di essere acceso.(