Tripoli trema: il terrore di Al-Kikli.

Il volto oscuro del potere: Al-Kikli, dal comando a Bengasi alla protezione italiana
Massacri e stupri: il nome di Al-Kikli suscita terrore a Tripoli, mentre l'Italia appare coinvolta in un paradosso inquietante.La figura di Al-Kikli, comandante militare libico, sta assumendo contorni sempre più inquietanti. Dagli esordi a Bengasi, dove ha guidato le sue truppe, alla recente nomina a capo della Ssa (Servizio di Sicurezza dell'Aeronautica), il suo percorso è costellato di ombre. A Tripoli, il suo nome è legato a gravi accuse di crimini di guerra, tra cui massacri e stupri. La sua ascesa al potere, in un contesto di instabilità politica e conflitti armati in Libia, solleva interrogativi sulla responsabilità internazionale e sul ruolo dei paesi che, in un modo o nell'altro, entrano in contatto con figure così controverse.
Un aspetto particolarmente sconcertante emerge da un caso specifico: nel 2021, il Ministero dell'Interno italiano ha concesso la protezione internazionale a un rifugiato che aveva subito la detenzione nella prigione controllata da Al-Kikli. Questa decisione, palesemente in contrasto con le pesanti accuse che gravano sul comandante libico, mette in luce una situazione paradossale e genera forti dubbi sull'effettiva conoscenza e valutazione dei fatti da parte delle autorità italiane. Il Viminale, a conoscenza dei presunti crimini di Al-Kikli, ha comunque concesso protezione a una vittima delle sue azioni? Questa domanda richiede una risposta urgente e trasparente.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sul ruolo dell'Italia in Libia e sulla sua politica di gestione dei flussi migratori. Come è possibile conciliare la concessione di protezione internazionale a chi è stato vittima di violazioni dei diritti umani con la concomitante tolleranza, se non addirittura un certo grado di collaborazione, con coloro che si rendono responsabili di tali violazioni? L'Italia deve chiarire il proprio coinvolgimento in questa situazione, spiegando in dettaglio le motivazioni che hanno portato alla decisione del 2021 e le azioni intraprese, se presenti, per investigare sulle accuse di crimini di guerra contro Al-Kikli. La trasparenza e la chiarezza su questo delicato argomento sono essenziali per garantire la coerenza della politica italiana in materia di diritti umani e per evitare di essere considerati complici, anche indirettamente, di gravi violazioni del diritto internazionale.
La comunità internazionale attende risposte concrete. Il silenzio, in questo caso, equivale a complicità.
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