Il caso Ramelli: giustizia e buoni contro fascismo.

Cosa resta dell'odio cieco? Il caso Ramelli e l'eredità di una violenza giustificata

Il recente caso di violenza a danno del giovane attivista di destra, Alessandro Ramelli, aggredito brutalmente a Milano, riapre un doloroso dibattito: quanto è ancora radicata, nella nostra società, quell'ideologia che rendeva (e forse rende ancora) "normale" la violenza politica, arrivando a giustificare persino l'omicidio?

L'aggressione a Ramelli, avvenuta nel marzo 2019, non è stata un fatto isolato. Il pestaggio, filmato e diffuso sui social media, ha rievocato spettri del passato, mostrando una violenza gratuita e inaudita ai danni di un giovane inerme. La frase "uccidere un fascista non è un reato", storicamente utilizzata per giustificare atti di violenza estrema, è tornata a galla, alimentando il sospetto che una certa mentalità, capace di considerare lecito il ricorso alla violenza fisica per motivi ideologici, sia ancora ben presente.

La sentenza di condanna degli aggressori ha rappresentato un importante segnale, ma non può cancellare la preoccupazione per la persistenza di un sottofondo di intolleranza che permea alcuni ambienti. La facile giustificazione della violenza, spesso celata dietro un velo di retorica "antifascista", mette a nudo una pericolosa fragilità del nostro tessuto sociale. Non si tratta semplicemente di un conflitto ideologico, ma di una forma di barbarie che mina le fondamenta stesse della democrazia e del rispetto dei diritti fondamentali.

L'analisi del caso Ramelli non può prescindere dall'esame delle dinamiche che hanno portato a quell'atto di violenza inaudita. È necessario indagare le radici culturali e sociali di un'ideologia che legittima la sopraffazione fisica, cercando di comprendere i meccanismi che permettono a simili episodi di verificarsi. È fondamentale, per contrastare efficacemente questa deriva, promuovere una cultura del dialogo e del rispetto, rifiutando qualsiasi forma di violenza e intolleranza, indipendentemente dall'orientamento politico.

Dobbiamo interrogarci sulle responsabilità di chi, anche implicitamente, giustifica o minimizza la violenza politica. Dobbiamo chiederci se la retorica dell'odio, spesso diffusa sui social media e in alcuni ambienti politici, non stia contribuendo a creare un clima di tensione e di intolleranza che alimenta episodi come quello di Ramelli. La strada per superare questo pericoloso retaggio del passato passa attraverso un impegno costante e collettivo, basato sulla condanna inequivocabile di ogni forma di violenza e sulla promozione di una cultura della legalità e del rispetto reciproco.

Il caso Ramelli rimane un monito, una ferita aperta nella nostra società che ci ricorda quanto sia fragile la nostra convivenza civile e quanto sia importante contrastare con fermezza ogni forma di odio e di violenza.

(14-03-2025 12:40)