Il caso Garlasco e le criticità nella gestione di DNA e reperti.

Il mistero dei reperti: quanto durano le prove del crimine?
Il caso di Garlasco, ancora aperto dopo anni, riporta prepotentemente alla luce un problema cruciale del sistema giudiziario italiano: la conservazione a lungo termine di reperti e tracce biologiche, fondamentali per le indagini. Per quanto tempo devono essere custoditi oggetti che potrebbero contenere indizi utili, anche a distanza di anni? E cosa prevede la legge in merito alla conservazione del DNA?
La questione è complessa e non esiste una risposta univoca. La durata della conservazione dei reperti dipende da diversi fattori, tra cui il tipo di reato, l'importanza delle prove e le risorse disponibili alle forze dell'ordine. Spesso, la scelta di distruggere o conservare a lungo termine materiale probatorio si basa su una valutazione caso per caso, che può risultare soggettiva e portare a perdite irreparabili di potenziali elementi investigativi.
Le normative in materia di conservazione del DNA sono altrettanto ambigue. Mentre la legge stabilisce la possibilità di conservare il DNA per scopi investigativi, mancano precise linee guida sulla durata di tale conservazione. Questo vuoto legislativo crea disparità tra le diverse forze di polizia e i vari laboratori forensi, con conseguenti problemi di standardizzazione e accesso alle informazioni.
Il caso di Garlasco, con le sue indagini complesse e i dibattiti ancora aperti sulla gestione delle prove, evidenzia la necessità di una riforma urgente in questo ambito. Una maggiore chiarezza legislativa sulla conservazione dei reperti e del DNA, insieme a investimenti in infrastrutture adeguate e nella formazione del personale, si rivelerebbe fondamentale per garantire l'efficacia delle indagini e la giusta amministrazione della giustizia. La possibilità di riaprire un'indagine dopo anni, grazie a nuove tecnologie o a un riesame delle vecchie prove, dovrebbe essere sempre garantita.
La sfida non è solo tecnologica, ma anche organizzativa e culturale. È necessario un cambio di paradigma, che ponga la conservazione delle prove a lungo termine come elemento imprescindibile dell'attività investigativa, evitando la dispersione di informazioni preziose per il futuro della giustizia.
È fondamentale, quindi, promuovere una discussione pubblica ampia e partecipata, coinvolgendo esperti del settore, magistrati, forze dell'ordine e rappresentanti delle istituzioni, per definire linee guida chiare e vincolanti sulla conservazione delle prove, garantendo così un sistema giudiziario più efficiente ed equo. Solo così si potranno evitare altri casi come quello di Garlasco, dove la possibile perdita di informazioni cruciali ha lasciato interrogativi ancora irrisolti.
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